LA GATTA CENERENTOLA

- RIFERIMENTI STORICI -

Così è intitolata la sesta favola ( giornata prima )
del Pentamerone di Giovan Battista Basile.
Si tratta della favola di Cenerentola nella sua prima versione napoletana scritta,
alla quale attinsero poi Perrault e gli altri favolisti successivi a Basile.
Si può perciò pensare che l'origine di questa favola sia senz'altro napoletana
o meglio ancora meridionale se il primo a pubblicarla nel 1600 fu Basile
il quale la trascrisse dalla tradizione popolare.
E del resto, ancora nella cultura orale di Napoli e provincia,
tale favola è una delle più diffuse in varie varianti.
Purtuttavia l'argomento della favola è talmente diffuso anche in altre parti d'Europa
da non potere più scientificamente provare se la diffusione sia avvenuta
in seguito alle traduzioni attinte dal Basile
oppure se un mito legato alla simbologia della scarpa e della ragazza vergine era comune,
già precedentemente, ad altre culture popolari.
Senza però entrare nel merito del problema,
c'è da dire innanzitutto che nelle varianti raccolte in Campania,
i contenuti e i segni proposti sono ben lontani
dalla oleografica versione diffusa dalla favolistica borghese ottocentesca.
Nella versione trascritta da Basile, ad esempio,
l'argomento è introdotto da una presentazione quanto mai drammatica:
basti pensare come il personaggio di Cenerentola ammazzi la sua prima matrigna
per fare sposare il padre con una sua comare,
la quale si trasformerà poi in una matrigna più spietata della precedente.
Lo stesso assassinio è tinto dei particolari più crudeli:
Cenerentola infatti lo compie troncando la testa della matrigna
col coperchio di un cassettone da biancheria.
In un'altra versione raccolta da me a Calitri ( Irpinia ) il padre di Cenerentola,
rimasto vedovo, intenderebbe sposare la stessa figlia,
la quale sfugge all'incesto prolungando con uno stratagemma,
il tempo che si frappone alle nozze.
Ella cosi propone al padre di accettare,
a patto che egli le faccia confezionare tre abiti
intessuti con il sole, la luna e tutte le stelle del cielo.
Successivamente scappa con i tre vestiti e consigliata da una fata,
indossa ogni giomo uno dei tre abiti.
L'incontro con un principe, il bello, la perdita della scarpa e di un anello
e il ritrovamento finale, seguono sulla falsariga della solita struttura.
In un'altra versione raccolta sempre da me a Briano ( prov. Di Caserta )
il ballo e le tre notti sono sostituiti da altri elementi più ritualizzati.
Infatti, Cenerentola indossa i tre meravigliosi abiti per recarsi alla messa della domenica,
dove si erano recate la matrigna e le sei sorelle.
L'ultima domenica perde la scarpa che è ritrovata poi da un re a cavallo
e la favola prosegue sugli stessi schemi ( la prova della scarpa e il ritrovamento finale ).
Infine, la stessa leggenda è addirittura presente
nel culto della Madonna di Piedigrotta a Napoli.
Infatti, secondo una tradizione tuttora viva tra i pescatori di Mergellina,
sarebbe stata proprio la Madonna a perdere una pianella sulla spiaggia napoletana;
pianella che, ritrovata da un pescatore, avrebbe condotto alla scoperta
di una statua della Vergine nella grotta di Posillipo.
Da tale ritrovamento, poi, sarebbe sorto il culto alla Madonna locale,
onorata dalle donne napoletane mediante un talismano in forma di scarpetta
( 'o scarpunciello d'a Maronna ).
Numerosi, come si può notare, i fattori mitici in Campania
in relazione con la favola di Cenerentola,
sebbene molto lontani da quelli comunemente noti.
La favola popolare infatti, include componenti misteriche legate al mondo dei morti
la cenere, la scopa, il focolare, il vestirsi di fiori e lo spogliarsi a mezzanotte, ecc.;
nasconde l'edipo femminile legato al desiderio di incesto paterno
( vedi la versione di Calitri e l'elemento del ballo con personaggio del principe e del re );
infine si relaziona con antichi miti solari legati al parto
( lo stesso re e il principe sono una sirnbologia solare e la perdita della scarpa nasconde
un' idea sessuale collegata all'atto della fecondazione e del parto ).
A Napoli, città di culto solare, per eccellenza,
mi sembra logico che una tale favola abbia avuto una simile vitalità
e che le diverse versioni raccolte ne accentuino tuttora i caratteri autenticamente popolari.
Entrando ora nel merito dei vari significati c'è da dire, innanzitutto,
che essi sono leggibili a vari livelli come in tutte le tradizioni del popolo.
Il primo senso À da mettere in relazione con un antico mito locale di
Proserpina-Kore che va e viene dal mondo sotterraneo.
Essa è obbligata a ritornare ogni volta proprio sopraffatta dalla figura maschile.
Ma sembra abbastanza superfluo sottolineare ancora che questa versione
sia stata raccolta nelle campagne di Caserta.
Nella versione di Basile invece, la matrigna è cattiva in quanto già inserita in una società
patriarcale quale era quella urbana della città di Napoli nel 1600.
Per altri aspetti poi, la favola di Cenerentola
espone una antica frustrazione popolare motivata dal desiderio negato
di indossare abiti favolosamente ricchi
e potere placare le proprie ansie sessuali nelle tre notti magiche
fino a perdere la nozione del tempo e così
perdere la scarpa.
E l'ultima considerazione si riallaccia al fenomeno del "tarantismo" e della possessione che con gli stessi modelli viene espresso nella cultura popolare meridionale.
Si osservi infatti, come À tipico dei " tarantati " il desiderio di indossare
sete, broccati e velluti e come il ballo magico nel perimetro rituale della cappella
di San Paolo a Galatina, svolga la stessa funzione catartica
così come nella favola napoletana di Cenerentola.
Gli stessi elementi del ballo con il re ( oppure con San Paolo per i tarantati ),
sono articolati secondo il modulo classico delle tarantelle più tradizionali:
l'incontro, il corteggiamento, infine la fuga e il gesto di correre.
Si noti inoltre come in tutte le tarantelle,
le donne abbandonino sempre le scarpe per ballare a piedi nudi.
A tale punto vorrei anche chiarire il concetto di
" gatta ",
attributo che in Basile viene dato alla Cenerentola.
Evidentemente la stessa favola deriva
da una delle tante storie animalesche di trasformazione:
nella Cenerentola in particolare,
doveva essere una gatta che magicamente diventava una donna.
Infatti, in un'altra versione ancora, raccolta da me a Capodimonte ( Napoli ),
la Cenerentola è una gallina figlia magica di una lavandaia.
Questa gallina per tre notti si spoglia delle penne per trasformarsi in una bellissima donna
e cosi recarsi al solito ballo con un principe.
Nell'ultima notte però si attarda,
il principe brucia le piume che ella aveva lasciato
e Cenerentola resta definitivamente donna.
Da queste varianti insomma, risulta anche chiaro che sia il gatto come la gallina
siano attributi della Cenerentola
e che tali animali siano equivalenti di figure materne derivati da culti totemici locali.
E' anche abbastanza indicativo il fatto che gli stessi animali
siano anche attributi della Madonna in Campania
( Madonna della gallina a Pagani, Madonna della gatta nel Casertano e nel Cilento ).
Il gatto in particolare è un animale che " graffia ", che sta vicino al fuoco,
è spesso associato alla magia e al diavolo ed infine mangia i topi
( e che il topo sia un simbolo fallico è stato ampiamente chiarito da studiosi
come Jung, Geza Roheùn, ecc.).
Inoltre, questo animale è tipicamente " casalingo "
oltre che essere nemico acerrimo del " cane ".
( ed è anche ovvio sottolineare come il cane
sia una chiara rappresentazione del padre come maschio negativo ).
Infine c'è da sottolineare l'aspetto socio-politico della favola,
aspetto che dalle precedenti analisi ci sembra abbastanza chiaro.
Cenerentola è la " serva " che diventa regina
non tanto come semplice aspirazione singola a sposare il re.
Essa è il popolo stesso che in lei si identifica come rappresentante legittimo del potere.
Inutile dire che al re non si dà alcuna importanza:
À un personaggio quasi inesistente
sia nella versione di Basile come nella favola contadina di Briano.
E' insomma nel personaggio femminile di una certa classe
che il popolo qui si riconosce come un antico desiderio di avere un capo
che non sia la negativa figura del potere maschile.
Non potrebbe infatti, nel tradizionale tessuto onirico,
riconoscersi in una figura di padre che storicamente è stata sempre l'espressione
della guerra,
della violenza,
e della repressione,
di cui tutti i popoli hanno sempre dovuto subire l'arnara esperienza.
Si ricorderà ancora a tale proposito lo straordinario favore goduto a Napoli
dalla regina Giovanna, e dalla sfortunata Isabella d'Angiò,
delle quali ancora i vivi canti della tradizione esaltano il mitico ricordo.
E che una tale componente sia ancora viva nella psicologia popolare
lo si può desumere dallo stesso secolare culto meridionale alla Madonna,
proprio in un tipo di religione
che invece impone la figura patriarcale di una divinità maschile.
Nella favola di CenerentoIa insomma,
è la stessa storia di tutta una gente:
le sue frustrazioni,
le sue aspirazioni,
il suo desiderio di trasformazione,
la sua religione naturale repressa dal potere ufficiale,
gli aspetti di un matriarcato che ha subito la violenza del patriarcato
e la conseguente negatività dello stesso matriarcato dopo tale scontro.

roberto de simone